Studi recenti rivelano come le nostre emozioni siano influenzate dalle circostanze. Le sensazioni di rabbia, angoscia, fame, paura o malattia non sono precise quanto pensiamo e a volte confondiamo questi segnali. Un mal di pancia può essere dovuto a una gastrite, ma se in quel momento siamo lontani da casa per la prima volta può anche essere giudicato un sintomo di nostalgia. Il cuore che batte forte e sudorazione possono essere sia espressione di un giro sull’ottovolante, che l’attesa prima di dare un esame, oppure dovute a troppe tazzine di caffè. Stati d’essere come fame, stanchezza e malattia producono segnali simili a rabbia, angoscia e tristezza; il contesto fa capire più precisamente di quale sensazione si tratta. Ma il contesto dipende dall’educazione ricevuta, la cultura del luogo, il tipo di amici ecc. Per esempio gli esquimesi non hanno una parola per indicare rabbia e la gente di Tahiti non attribuisce alla parola tristezza lo stesso significato dato da persone di origine europea. E’ importante insegnare ai bambini, fin da quando sono molto piccoli, a usare il vocabolo corretto per esprimere le proprie sensazioni. Capire se si è felici oppure ispirati, tristi oppure delusi vuol dire conoscersi meglio, capire le situazioni meglio e trovare soluzioni più efficaci per le situazioni negative. Tanto maggiore è la granularità e la precisione con le quali definiamo le nostre emozioni tanto più abbiamo armi per non diventarne vittime, combattere lo stress e evitare la depressione. Qualche esempio di vocaboli che in altre lingue esprimono emozioni precise e che non hanno il vocabolo equivalente in italiano: Gigil (Tagalog) – l’irrestibile bisogno di pizzicare qualcuno di molto amato. Desenrascanço (Portogese) – il togliersi con grazia da una situazione problematica. Sukha (Sanskrito) – la felicità duratura indipendentemente dalle circostanze.