Il genitore, il fratello, la sorella, il marito, la moglie, il datore di lavoro, il capoufficio che si occupano di un certo compito perché lo ‘sanno fare meglio’ oppure che definiscono l’altro/a ‘un disastro in cucina’, ‘un minorato al computer’ un ‘pericolo pubblico al volante’. Si tratta di frasi non gravi, addirittura affettuose in certi casi, spesso dette con il consenso della ‘vittima’. Alla base di questi scontri impercettibili vi è spesso un gioco di potere. La vittima va tenuta sul ‘chi va là’, non deve avere la totale libertà di espressione (Dai, stringi, arriva al dunque!), i successi vanno sminuiti (‘all’ ennesima volta che ci provava, finalmente…..) e i difetti enfatizzati (‘ci avrei giurato che…’). Il piccolo aggressore tiene le piccole aggressioni sotto un preciso livello di soglia (non alza la voce, non usa un linguaggio chiaramente offensivo, non aggredisce fisicamente), per impedire alla vittima un pretesto valido di ribellione. Il piccolo aggressore non ha mai tempo, ma dice che la sua vittima ‘ha tanto di quel tempo da vendere’. Spesso i piccoli aggressori ‘vogliono un bene dell’anima alle loro vittime’ ma non resistono alla tentazione di esprimersi: il bambino che a tavola fa cadere una posata per terra non viene solo invitato a raccoglierla, ma l’incidente diventa una occasione per ricordare al piccolo che è maldestro e che questo si associa alla sua generale mancanza di attenzione in quello che fa, tutto parte di una mancanza di maturità e di ‘non prendere le cose sul serio’. Il piccolo aggressore è un artista che sa condire il suo colpo con un piccolo complimento di anestesia: ‘sei un adorabile immaturo’, ‘sei tanto buono, ma anche tanto credulone’. Con la scusa di evitare alla vittima inutili perdite di tempo, nei momenti importanti il piccolo aggressore prende la situazione in mano: ‘lascia parlare me!’ e per le azioni difficili: ‘faccio io!’. Comunque il piccolo aggressore evita di dare ordini, ma preferisce consigliare gentilmente: ‘mi raccomando non bruciare la casa col ferro da stiro’, ‘potresti mica mettere a posto quel caos che hai lasciato in cucina?’, ‘togliti quelle scarpe se non vuoi che la gente pensi che tu sia pazza’. Col tempo le vittime perdono l’auto stima e fiducia in se stessi e evitano i loro aggressori senza bene capire cosa stia succedendo, poiché in fondo non è mai successo nulla di drammatico. Perché una vittima prenda coscienza della sua condizione è necessario che abbia senso critico, ma spesso questa consapevolezza arriva quando si è vittime già da molto tempo; per ribellarsi, la vittima non deve dipendere (per età, per finanze ecc.) dal piccolo aggressore, che invece, per farsi la sua dose, dipende dalla dipendenza della sua vittima.