Alcune delle decisioni più importanti che prendiamo si basano su delle intuizioni. Mi posso fidare di questa persona? Il trasgressore era in grado di capire la portata della sua azione? Assumo questo candidato oppure l’altro? All’ Università di Berkeley in California si è voluto capire quanto la voce, e il modo di parlare, di un oratore condizionino, al di là di quello che viene detto, l’opinione che gli uditori si fanno dell’oratore. Sono stati condotti quattro esperimenti in cui professionisti di un’agenzia di collocamento dovevano decidere se assumere dei candidati che cercavano lavoro. Nel primo caso i professionisti vedevano e ascoltavano la presentazione data dal candidato, nel secondo caso ascoltavano il candidato ma non lo vedevano, nel terzo caso leggevano la trascrizione della presentazione data dal candidato oralmente (cioè non vedevano e non sentivano il candidato) e nel quarto caso ascoltavano la lettura della trascrizione letta da un attore professionista (non il candidato). Nei quattro casi le parole scritte o parlate erano identiche. Ascoltare, oppure ascoltare e vedere, la presentazione del candidato impressionava i reclutatori allo stesso modo, e comunque molto di più che leggere o sentire leggere da un attore esattamente la stessa presentazione. I ricercatori concludono che la voce con le sue intonazioni, pause e anche imperfezioni permette a coloro che ascoltano di intuire aspetti mentali e addirittura caratteriali, che la parola scritta non trasmette. Le parole, solo se dette dall’interessato (non riferite da intermediari), contengono informazioni che chi ascolta riconosce subito a livello inconscio. Si tratta di un linguaggio che viaggia in parallelo a quello costituito dal significato specifico delle parole. E’ curioso che i candidati, interrogati su quale delle quattro presentazioni fosse secondo loro la più efficace, non avessero preferenze. Chi parla non sa di possedere un arma per convincere i presenti, ma come uditore riconosce quest’arma subito.