Fino ad alcuni anni fa si pensava che il nostro DNA cambiasse solo nell’arco di generazioni per ‘adattamento’ all’ambiente. Da una parte la nostra natura (cioè genoma o DNA), dall’altra l’ambiente. In seguito si è visto che, in conseguenza a certi stimoli ambientali, il nostro DNA poteva esprimersi in modo diverso anche in tempi brevi (non solo generazionali), senza cambiare la sua struttura principale e così nacque una branca della genetica che si chiama epigenetica. L’espressione epigenetica poteva essere per il bene o il male, e dipendeva molto da circostanze circoscritte che cambiavano a seconda degli stimoli del luogo. La novità era che il nostro DNA non era più da considerarsi un destino senza appello; in una certa misura la nostra salute dipendeva da noi. Alimentazione, attività fisica, aria, sole, ecc. potevano determinare cambiamenti epigenetici. Ora si scopre che gli stimoli che inducono cambiamenti epigenetici sono molto più numerosi di quanto si pensasse e che in certi momenti della nostra vita questi stimoli sono più attivi che in altri. Per esempio, durata della gravidanza, stagione in cui si nasce, tipo di allattamento, presenza di animali domestici, status socioeconomico, tempo passato coi genitori danno modificazioni epigenetiche nel periodo dell’ infanzia che avranno espressione in età adulta. In particolare, nutrizione, esposizione ad agenti microbici e certi aspetti psicosociali della primissima infanzia favoriscono un tipo di infiammazione dei tessuti che è alla base di malattie dell’adulto, quali diabete, malattie cardiovascolari e demenza senile. Il DNA con cui nasciamo non è rigido; è invece una struttura dinamica che, mentre siamo piccoli raccoglie informazioni dall’ ambiente, e poi prepara strategie per quando saremo adulti. Non siamo in mano al nostro DNA; è il nostro DNA che è in mano a noi e il tipo di stimoli che gli vogliamo dare.
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